Operazione Doha. Su pressione di Stati Uniti e Qatar e con la partecipazione attiva di Francia, Germania, Italia, Turchia e Gran Bretagna, dal 4 all’11 novembre sono stati riuniti a Doha oltre 400 delegati della dissidenza siriana. Fritto politicamente e militarmente misto, da maneggiare con le molle, ma indispensabile per formare un soggetto politico siriano credibile e formalmente unitario. Un Parlamento alternativo a quello di Damasco e un Governo transitorio copiato dal “modello libico”. Compito, gestire le “aree liberate”, le attività dell’«Esercito Libero Siriano», soldi e armi.
Democrazia a lotti. Gli equilibri interni sono fondamentali per garantire chi paga. Come Presidente del “Consiglio Nazionale Siriano” (Cns) viene eletto George Sabra (in sostituzione di Abdel Baset Sieda) affiancato da un vice, l’esponente dei Fratelli Musulmani Faruk Tayfur, e 40 membri anche essi di nuova nomina. L’inaspettata scelta di Sabra, cristiano ed ex comunista, è una mossa abile. Sottrarre al Presidente Bashar Assad l’egemonia sulla comunità cristiana, preoccupata dall’ascesa in tutta la regione dei Fratelli Musulmani. Qualche resistenza Usa su quel passato comunista, ma si sa.
L’ombrello plurale. La “Coalizione Nazionale delle Forze di Opposizione” (Ncof) è l’ombrello sotto il quale hanno deciso di ripararsi tutti i rappresentanti delle diverse formazioni. Con l’accordo firmato anche dal Cns (cui andranno 22 dei 60 seggi della Coalizione), di non accettare alcun dialogo e negoziato con il regime damasceno. Nasce un “Consiglio Militare” e una “Commissione Giuridica Nazionale” e, il 19 novembre in Marocco, il gruppo “Gli amici della Siria” per ottenerne i riconoscimento di “legittimo rappresentante del popolo siriano” e i supporti economici e militari.
La Nato chioccia. Presidente è Sheikh Ahmed Moaz al Khatib, siriano, contiguo ai Fratelli Musulmani, all’estero da 3 anni. Due vice: Riad Seif, esponente di spicco dell’opposizione siriana, critico del Cns che valuta scarsamente incisivo, ma favorito dagli USA; Suhair al Atassi, unica donna fra gli eletti. La nuova coalizione è stata subito riconosciuta dal “Consiglio di Cooperazione del Golfo” (Ccg) di Arabia Saudita, Bahrein, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Oman e Qatar. Il segretario generale della Nato Rasmussen, ha applaudito: “Oltre la situazione di stallo della crisi”.
Enfasi umanitaria. Movimento a tenaglia. Contestualmente all’elezione del nuovo Presidente del Cns, il Capo dell’ “Ufficio di Coordinamento degli Affari Umanitari” (Ocha) dell’Onu a Ginevra , John Ging, ha denunciato l’aggravamento dell’emergenza umanitaria in Siria. Una crisi che il prossimo anno investirà oltre 4 milioni di persone. Mentre in centinaia di migliaia continueranno a fuggire dalla Siria in guerra verso i Paesi confinanti. Nel giorno stesso della denuncia Onu sono stati registrati oltre 11 mila profughi siriani che avevano attraversato il confine con la Turchia.
Mezzaluna sciita. Il quotidiano libanese “Daily Star” lancia un’intervista ad esponenti del neo-nato “Esercito Libero dell’Iraq” (Eli), che si ispira all’Els e intende combattere i regimi sciiti sostenuti dall’Iran. La milizia raggrupperebbe anche militanti di Al Qaeda presenti nelle zone sunnite di Anbar, Qaim e Mosul ed elementi di “Sahwa”, formazione di sunniti che, vicende locali li fanno nemici giurati del premier iracheno Nuri al Maliki, contro il quale combattono affinché insieme alla Siria cada anche l’Iraq e si indebolisca l’Iran che li sostiene. Clienti difficili da gestire e intenti dubbi.
Poi la questine curda. Durante il vertice di Doha vi è stata una intensificazione delle attività curde nel nord-est delle Siria dove militanti del “Partito dell’Unione Democratica” (Pyd), vicini al “Partito dei Lavoratori Curdi” (Pkk), hanno assunto il controllo di al Dirbasiyyah, Tel Nemer, Amuda e Malikieh, abbandonate dai lealisti. I curdi, ritenuti dall’Els vicini al regime damasceno e ostili alla Turchia, mantengono in realtà le distanze dall’uno e dagli altri nel tentativo di ritagliarsi con la forza delle armi anche in Siria quell’autonomia conquistata nel nord dell’Iraq dove esiste uno Stato curdo.
La somma dei fatti. Tali eventi, casuali o no, forniscono dati incontrovertibili. 1) Crescente destabilizzazione del Paese, non più in grado di provvedere alla sicurezza dei suoi cittadini e, in particolare, di quanti ne siano (o ne siano stati) sostenitori (alawiti e cristiani), costretti a fuggire e bersagliati dagli insorgenti, con conseguente delegittimazione davanti alla Comunità Internazionale. 2) Incapacità del controllo territoriale anche nelle città più importanti, Damasco e Aleppo, oggetto di continui attentati. 3) Aperta minaccia da parte di Israele e indebolimento della “mezzaluna sciita”.
Risultati prossimi. Dopo avere di fatto azzerato il tentativo dell’inviato speciale di Onu e Lega Araba, Lakhdar Brahim, resta ben poco spazio alla speranza del Presidente Assad di reggere sino alla Presidenziali del 2013. Il nuovo organismo dell’opposizione, pur diviso come è al suo interno tra salafiti, jihadisti nazionalisti, qaedisti internazionali e mercenari, non avrà l’intervento Nato ma otterrà la legittimazione della maggioranza Comunità Internazionale. E con essa il supporto per sconfiggere l’esercito siriano minato dalle diserzioni anche ad alto livello che continuano a crescere.
Fonte Globalist