L’ATTACCO ALLA REUTERS – L’ultimo episodio è l’annuncio della morte del presidente Assad dato da un falso account Twitter attribuito al ministro degli interni russo. Risultato, per pochi minuti la notizia rimbalza sui social network, il prezzo del greggio schizza alle stelle con Mosca costretta a smentire la notizia e la paternità del profilo. Ma non solo. Domenica scorsa l’account Twitter dell’agenzia Reuters dedicato alle news legate al mondo tecnologico è stato violato da un non meglio identificato gruppo di aggressori, i quali hanno pubblicato una serie di cinguettii riguardanti la Siria. Nella giornata di venerdì, poi, un’operazione ha messo in ginocchio la piattaforma di blogging dell’agenzia, attribuendo ad alcuni dei suoi giornalisti articoli in realtà mai scritti. La Reuters ha confermato entrambe le aggressioni e in entrambi i casi, il tema principale dei contenuti pubblicati sono stati la Siria e la sua libertà, a dimostrazione di una possibile matrice politica alla base dell’intera operazione. E stessa sorte è toccata in aprile anche alle emittenti Al Arabiya e Al Jazeera.
CONTRO HARVARD – Anche sul fronte opposto, cioè quello del regime, sono state condotte delle operazioni di cyber guerra. In passato è stato notato un attacco a uno dei siti dell’Università di Harvard su cui è stata postata l’immagine di Assad in tuta mimetica. Poi è comparso anche un messaggio in cui si accusavano gli Stati Uniti di appoggiare la rivolta contro il presidente siriano e venivano minacciate ritorsioni. Il portavoce di Harvard John Longrake ha dichiarato che l’attacco informatico era il lavoro di un gruppo (o anche un individuo) molto sofisticato. Nel messaggio si faceva riferimento ad un gruppo vicino al governo siriano chiamato ‘Syrian Electronic Army is here’ (l’esercito elettronico della Siria è qui). Dopo l’attacco, ad Harvard hanno deciso di mettere giù il sito per diverse ore e si sono messi al lavoro per migliorare la sicurezza.
SERVIZI SEGRETI E HACKER AL LAVORO – Da non dimenticare poi le azioni condotte da Anonymous che ha reso pubbliche una serie di email private del presidente, di cui alcune anche dal contenuto piccante relative a una relazione segreta con una pornostar. Un anno fa poi gli hactivist hanno violato il sito web del ministero della difesa siriano, sostituendo la home page con un messaggio contro il governo del presidente Bashar Al Assad: «Al popolo siriano – hanno scritto gli hacker – il mondo sta dalla vostra parte contro il regime brutale di Bashar Assad. Sappiate che il tempo e la storia sono dalla vostra parte, i tiranni usano la violenza perché non hanno nient’altro e più violenti sono, più fragili diventano». Insomma, la guerra in rete continua. Con Assad che chiede aiuto agli alleati iraniani, esperti di censura e di controllo dell’opposizione in rete. I servizi segreti del presidente siriano hanno carpito le password di diversi attivisti che sostengono le proteste e ne hanno messo fuori uso i computer attraverso dei virus. Per ottenere questo risultato, gli esperti del regime siriano hanno creato un clone di Youtube, su cui gli ignari utenti inserivano la loro username e password. Le spie del dittatore hanno inoltre creato dei falsi account di Twitter e Facebook che diffondono informazioni manipolate o fanno spam a favore del regime. La cyberwar guerra ha coinvolto anche il presidente Barack Obama, che ha approvato delle direttive che permettono alle imprese Usa di vendere software in Iran in grado di eludere la censura. Senza dimenticare che l’opposizione al regime riceve aiuto dall’estero e c’è chi punta il dito contro i servizi segreti statunitensi. Come dire che, almeno a livello virtuale, un intervento esterno in Siria è già in atto da tempo.
Fonte Corriere