Tra i paesi occidentali, a preoccupare maggiormente per il livello di discriminazione e per l’aumento delle tensioni sociali legate all’intolleranza religiosa sono gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, mentre nel mondo arabo spiccano l’Egitto, l’Afghanistan, l’Iraq e la Siria. Non scherzano neppure l’Indonesia, il Pakistan, la Somalia, la Nigeria e la Russia. In tutti questi paesi, la crescente ondata di restrizioni imposte in questi ultimi anni è attribuibile a una serie di fattori, tra cui l’aumento di reati, aggressioni e atti di violenza motivati da odio religioso o pregiudizi, così come da un’eccessiva ingerenza dei governi nella pratica del culto.
Se fino al 2007 il 68% della popolazione mondiale non godeva della libertà di professare il proprio credo, se non a rischio di gravi ritorsioni da parte di gruppi estremisti o azioni governative repressive, oggi quella soglia è aumentata di sette punti e ha raggiunto il 75%. Leggendo i dati, si evince che più aumentano i disordini sociali più si impongono restrizioni governative, ma senza alcun effetto deterrente. La politica diventa più invasiva in Africa sub-sahariana, dove negli ultimi anni le tensioni sociali sono aumentate, mentre i livelli più bassi di interferenza stato-chiesa e tensioni sociali si registrano in Europa e America Latina.
L’intolleranza prende di mira usi e costumi, tra cui l’abbigliamento inadeguato, spesso si traduce in violenza settaria, talvolta in abusi o intimidazioni. I paesi che hanno vissuto la Primavera Araba: Tunisia, Egitto e anche lo Yemen, a dispetto dell’ispirazione democratica delle rivolte stanno attuando una politica governativa sempre più dura nei confronti della libertà di culto, anche se nel complesso il continente che si dimostra più intollerante è l’Asia, dove in almeno nove paesi su diciotto le politiche governative limitano fortemente la libertà religiosa: Indonesia, Maldive, Afghanistan, Iran, Uzbekistan, Cina, Myanmar, Vietnam e Azerbaigian.
Fonte Atlasweb