Quando i datori di lavoro se ne sono accorti l’hanno licenziata. «Il problema con la dipendente», ha spiegato l’avvocato Patrizio Bernardo, legale di diritto del lavoro, al Corriere di Padova, «è emerso nel 2011. Abbiamo transato pochi mesi fa». Di fatto azienda e impiegata hanno trovato un accordo e alla donna è stata riconosciuta una sorta di buona uscita, pari a un tot di mensilità. Accordo, tra l’altro, che sta diventando la regola in questo tipo di cause, piuttosto complicate e molto frequenti dato che ormai Facebook, Twitter e amici virtuali hanno invaso la nostra vita. Una tendenza che sta prendendo piede anche in Italia e che negli Usa è all’ordine del giorno: secondo l’ultimo studio dell’americana Proofpoint, l’8% delle società intervistate dichiara di aver licenziato dei dipendenti per colpa di Facebook e il 17% di aver effettuato dei richiami disciplinari per lo stesso motivo.
Guai connessi non solo all’uso dei social in orario di ufficio, con conseguente calo di rendimento, ma anche ai commenti negativi sull’azienda riportati su Fb dai dipendenti, fino all’uso di chat e simili quando magari ci si è dati malati perché non si riusciva a stare davanti allo schermo del pc per una forte emicrania.
E se le aziende corrono ai ripari divulgando disciplinari interni con le indicazioni per l’uso corretto di internet e social network sui luoghi di lavoro, resta da capire come e se possano intervenire, ad esempio, sugli smartphone personali dei dipendenti, costantemente collegate alla rete. Come conciliare esigenze produttive e sicurezza del lavoro con privacy e divieto di controllo a distanza dei dipendenti è un problema aperto e sempre più attuale.
Fonte Libero