Il gotha delle potenze mondiali così si ritrova seduta attorno a un tavolo per discutere di quello che – almeno fino ad oggi – era stato un tema (e un problema) che riguardava principalmente i Paesi più poveri del mondo e che veniva praticamente snobbato dai Big.
Ma oggi anche i Big rischiano di restare a bocca asciutta e la cosa potrebbe avere conseguenze devastanti, anche e soprattutto sul piano politico.
Il primo a regaire alla tegola alimentare è stato il presidente Usa Barack Obama, che dai campi (secchi) dell’Iowa, dove si trova per il suo tour elettorale, annuncia che la siccità che ha colpito gli Usa è la più grave degli ultimi 50 anni e che il governo federale stanzierà a breve fondi per aiutare gli agricoltori, per un totale di 170 milioni di dollari, almeno per ora.
Ma anche la Cina non è messa meglio, anzi. Pechino negli anni passati ha comprato ettari ed ettari di terra coltivabile in Australia, per riuscire ad avere la quantità di riso e cereali necessaria al fabbisogno nazionale.
Ma quest’anno l’Australia è stata colpita da ingenti alluvioni, che hanno vessato i campi e distrutto la maggior parte dei raccolti. Il risultato è che il prezzo di riso e cereali per la Cina è cresciuto di più del 50%, creando un effetto domino su tutta la filiera alimentare, fino al consumatore finale.
E anche la Russia trema. Già due anni fa la Federazione aveva stanziato 15 milioni di dollari attraverso il Russia Food Price Crisis Rapid Response Trust Fund per le repubbliche del Kirgyzistan e del Tagikistan, ma adesso l’allarme alimentare è arrivato anche a Mosca.
La Commissione europea già nel 2009 aveva stanziato circa 112 milioni di euro per aiutare i comparti agricoli di 10 Paesi membri, e adesso l’allarme è di nuovo in codice rosso, con gli ettari di terra coltivata bruciati in Spagna.
In India il mutamento nella stagione dei monsoni ha spinto addirittura il governo ad investire 75 milioni di dollari in un macchinario che possa prevedere le piogge, e intanto gli agricoltori (che sono circa 600 milioni) spendono rupie su rupie per ingraziarsi le divinità indù e chiedere che la siccità si plachi e che arrivi un po’ di acqua.
E di acqua ce ne è troppa invece sia in Corea del Nord che in Brasile, dove le recenti alluvioni hanno messo in ginocchio l’intero comparto alimentare. Pyongyang ha già chiesto aiuto alle Nazioni Unite, il Brasile invece ha praticamente interrotto la produzione di biocarburanti, per non far aumentare a dismisura i prezzi di mais e cereali.
In Costa d’Avorio sono in allarme i coltivatori di cacao. A causa della siccità i prezzi dei semi sono lievitati del 13%, con conseguenze devastanti su tutto il mercato. Ed essendo il cacao praticamente un monoprodotto agricolo in Costa d’Avorio, l’economia del Paese africano è stata messa in ginocchio.
La Banca Mondiale aumenterà il GFRP (Global Food Crisis Response Program), che già tre anni fa era stato rimpinguato con 2 miliardi di dollari, ma l’emergenza è grande e diffusa su tutto il pianeta. Non bastano interventi mirati, ma sarà necessario ripensare l’intero sistema alimentare e l’accatastamento delle scorte.
Ma non è solo unq questione organico-economica, è anche un serio tema politico. Laddove manca il pane (o costa troppo) è facile che si generino rivolte popolari, soprattutto in paesi “chiusi”, governati da regimi o pseudo-tali.
Il livello di scontro sociale aumenta man mano che aumenta il divario tra la richiesta e l’offerta di generi alimentari. E’ un assioma che finora non è stato ancora smentito dalla Storia. E ormai lo spettro della fame spaventa tutti, nessuno escluso.
Fonte Panorama