Davide Cervia non aveva nemmeno 30 anni quando è stato rapito. Non era andato a comprare le sigarette. Era un, ex sottufficiale di marina, tecnico di guerra elettronica, animale raro e prezioso per chi, come l’Italia commercia in sistemi d’arma sofisticati alla vigilia della prima guerra del Golfo. La marina militare fornirà cinque falsi fogli matricolari per depistare le già svogliate indagini prima di ammettere la qualifica di “specialista Ete/GE” (tecnico elettronico/guerra elettronica). Personaggi ambigui, poliziotti e barbe finte, minacceranno negli anni testimoni e vittime di questa storia.
Come le due persone che si presentano a casa di Mario, il vicino di casa, dicendo di essere agenti assicurativi, ma il loro tono è arrogante e perentorio, insistono per entrare in casa, dicono che devono parlargli. Lui non si fida dell’aspetto minaccioso e riesce a riparare all’interno dell’abitazione. Come l’uomo della digos che, entratogli in casa con la scusa di un censimento sulle Fiat Uno, terrorizzerà un ex collega di Davide, all’epoca ancora in servizio, che aveva spiegato a Marisa la specializzazione del marito. Un ispettore della Digos incontra Marisa. Come le orecchie in divisa che hanno ascoltato per anni ogni telefonata della donna che cercava verità e giustizia. Al convento dei Cappuccini di Velletri arrivò una lettera anonima da Grottaglie, in provincia di Taranto. Chi scrive dice di essere la moglie di un ex sottufficiale di Marina, “agganciato” da strani e misteriosi individui che gli chiedono di fare il lavoro che sa, se vuole evitare guai. Il 12 settembre 1994 il Comitato per la verità su Davide Cervia ha occupato per dodici ore l’ufficio del capo-gabinetto del ministero della Difesa, Previti, alla presenza di numerose telecamere e giornalisti di varie testate. Nel ’96, un sottosegretario, Rino Serri, ammise che si stava trattando con la Libia per il suo rilascio. Poi il silenzio.
Cinque giorni prima di morire, il consigliere di Napolitano, Loris D’Ambrosio, ha risposto con mesi di ritardo all’ennesima lettera dei Cervia ma senza scalfire il muro di omissis di questa storia. Solo un consiglio: rivolgetevi alla giustizia civile. Infatti, ventidue anni dopo, Erika e Daniele, i due figli di Davide e Marisa, chiedono i danni ai ministeri della Difesa e della Giustizia per violazione del diritto alla verità, perché «quell’insieme di negligenze e depistaggi che hanno accompagnato l’indagine fin dal primo giorno, come riconosciuto dalla stessa Corte di appello» non resti impunito. Il loro legale, Alfredo Galasso, è stato avvocato di parte civile dei familiari delle vittime di Ustica. La corte d’appello di Roma ha dovuto riconoscere nel ’98, dopo aver strappato le carte all’ignava procura di Velletri, che l’uomo era stato rapito «da società o organizzazioni verosimilmente straniere, per interessi commerciali-militari legati alla sua competenza professionale». Il processo si aprirà il 7 dicembre. Per la vicenda resta insuperato il volume di Gianluca Cicinelli e Laura Rosati, “Un mistero di Stato. Inchiesta sul rapimento di Davide Cervia tecnico di guerre elettroniche”
Fonte Globalist