Egitto: presidente Morsi, “proteggeremo i turisti”
Secondo il ministero dell’Interno le violenze sono cominciate quando diversi manifestanti hanno “tirato pietre e bottiglie contro le forze di sicurezza a guardia dell’ingresso dell’edificio”, ma gia’ ieri pomeriggio Il Cairo aveva provveduto a raccomandare moderazione nelle protesta anti-americane.
Nel frattempo gli Usa corrono ai ripari. La decisione di far partire le navi da guerra e’ stata presentata da una fonte del governo come “misura precauzionale”. Le iniziative militari prese da Washington, ha detto il portavoce del Pentagono, George Little, senza riferirsi in modo specifico alle navi, sono “non soltanto logiche, date le circostanze” ma anche “improntate a prudenza”. Intanto, mentre Barack Obama ha chiamato i leader di Egitto e Libia, gli Stati Uniti hanno evacuato gran parte dello staff diplomatico libico in Germania.
Lo riferiscono funzionari Usa rendendo noto anche che tutte le ambasciate Usa nel mondo sono state allertate affinche’ rivedano tutti i loro servizi di sicurezza.
Iran: in 500 manifestano davanti all’ambasciata svizzera
In Libia “sono stati uccisi quattro straordinari americani.
Vogliamo che sia fatta giustizia e giustizia sara’ fatta”.
Trascorso l’11 settembre, Barack Obama ha lasciato di nuovo da parte la battaglia elettorale per concentrarsi sull’attacco al consolato americano di Bengasi, che riporta l’America all’incubo di Al Qaeda. “State tranquilli”, ha proseguito Obama, “lavoreremo insieme con il governo libico per portare davanti alla giustizia coloro che hanno assassinato la nostra gente”. Quanto a Stevens, ha sottolineato Obama in un messaggio al Paese pronunciato avendo accanto il Segretario di Stato americano, “io e Hillary Clinton puntavamo su di lui per la transizione” nel Paese nordafricano. I rapporti con Tripoli, pero’, “non saranno spezzati” e Washington “non fara’ marcia indietro sull’impegno per la costruzione” della nuova Libia.
Il presidente americano, che della necessita’ di un ponte con l’Islam aveva fatto uno dei pilastri della campagna per la presidenza, si trova davanti – dal Cairo a Kabul e a Tunisi – una parte del mondo musulmano in fiamme contro l’Occidente per un film ritenuto blasfemo della figura di Maometto. E in prima linea ci sono due Paesi, la Libia e l’Egitto, i cui regimi erano stati rovesciati dalla Primavera araba e con i quali Washington tenta di consolidare un’alleanza strategica per tutta la regione.
Il vice-premier libico, Mustafa Abu Shagur, ha condannato l’accaduto come “un atto barbarico”, “un attacco all’America, alla Libia e alle persone libere di tutto il mondo”, e il governo egiziano ha tentato tardivamente di separare le responsabilita’ dell’amministrazione americana da quelle dei produttori, residenti negli Stati Uniti, de “L’innocenza dei musulmani”, il film che ha scatenato tanta rabbia. In un video postato su Youtube e che circola da alcune settimane, il Profeta viene tratteggiato come un pazzo, donnaiolo e impostore; in un passaggio viene anche mostrato mentre fa sesso con una donna. Il regista, un americano che rivendica origini israeliane, Sam Bacile, immobiliarista in California, adesso si e’ dato alla macchia e fa sapere di essere rimasto “turbato” da quanto accaduto. Ma da una localita’ sconosciuta, raggiunto telefonicamente, non ammorbidisce la sue posizioni: “L’Islam e’ un cancro”.
E’ stato lo stesso Obama a mettere in relazione la strage di mercoledi’ con l’anniversario dell’11 settembre. “L’11 settembre e’ per noi un giorno importante, e ieri sera, purtroppo, ci e’ giunta notizia di questo attacco”, ha detto all’indomani. Il presidente americano, che ha gia’ inviato in Libia 50 marines e si prepara a mandarne almeno fino a 200 in un prossimo futuro, ha sottolineato che sara’ “aumentata la sicurezza della sede diplomatica in Libia e in tutto il mondo”.
L’amministrazione Usa, che ha spedito in Libia anche agenti del Fbi, ritiene che l’attacco alla missione Usa a Bengasi sia stato pianificato da un gruppo organizzato e non direttamente legato alle proteste per il film su Maometto.
“La protesta del Cairo – si legge sul New York Times, che riporta le confidenze di una finte interna al governo americano – sembra una mobilitazione spontanea contro il video anti-Islam prodotto dagli Usa. Al contrario, le persone che hanno attaccato l’ambasciata a Bengasi erano armati con mortai e granate.
Alcune indicazioni suggeriscono che un gruppo organizzato abbia atteso l’opportunita’ delle proteste per attaccare, oppure che forse le abbia addirittura generate per coprire l’attacco”.
A confortare tale ipotesi c’e’ anche l’analisi degli esperti di Quilliam, autorevole think thank britannico, che tira in ballo al Qaeda. L’attacco al consolato Usa a Bengasi, hanno spiegato, e’ stata una “vendetta per l’uccisione di Abu Yaya al-Libi, numero 2 di Al-Qaeda”, ucciso da un drone in Pakistan nel giugno scorso. A Bengasi, ragionano gli analisti, “il lavoro e’ stato fatto da una ventina di miliziani, preparati per un assalto armato”. Si sarebbe trattato di un assalto in due tempi, con un primo attacco che ha costretto il personale del consolato a spostarsi in un luogo sicuro, dove poi sono stati colpiti. Secondo altre fonti, invece, la morte dell’ambasciatore sarebbe avvenuta per soffocamento da fumo mentre il diplomatico tentava di rifugiarsi sul tetto dell’ambasciata in fiamme.
Il governo libico, forse anche per ragioni interne, punta il dito contro “nostalgici del vecchio regime” di Muammar Gheddafi. A parlarne e’ stato il sottosegretario del ministero dell’Interno libico per la parte orientale del Paese, Wanis Asharef. In una conferenza stampa ripresa dal sito in lingua araba di United Press International, Asharef, citando una lettera giunta alle autorita’ libiche, ha indicato l’attacco come ritorsione per l’estradizione dell’ex capo dell’intelligence sotto Muammar Gheddafi, Abdullah Senussi, trasferito a Tripoli all’inizio di settembre dopo essere stato arrestato cinque mesi fa in Mauritania.
Fonte AGI