Ma cosa è successo esattamente alla Volpe 132? Procediamo con ordine.
Il 2 marzo 1994 esplode nei cieli di Capo Ferrato (Cagliari) l’elicottero A-109 della Guardia di Finanza, nome in codice Volpe 132, decollato da Elmas con a bordo il Maresciallo Gianfranco Deriu e il Brigadiere Fabrizio Sedda. L’elicottero è in collegamento con una motovedetta della G.d.F. che affianca le operazioni di servizio della Volpe 132: la motovedetta G63 Colombini.
Improvvisamente, dopo la tragedia, spuntano tre testimoni: sono tre agricoltori che quella sera a Capo Ferrato hanno visto tutto ed hanno dichiarato ai media che l’elicottero è esploso mentre si proiettava verso una nave incredibilmente sparita nel raggio di poche ore.
Le dichiarazioni dei tre testimoni, seppur precise, concordanti nei riscontri individualizzanti ed avvalorate dal fatto che fra di loro non vi era alcun rapporto di amicizia pregressa che andasse ad intendere un accordo premeditato in sede di dichiarazione dei fatti, non vengono considerate attendibili. Nessun magistrato ordina un’audizione protetta nei riguardi di tali possibili testimoni.
E la nave avvistata? Nessuna traccia in mare.
Qualche giorno dopo l’esplosione della Volpe 132, nella zona industriale di Oristano, sparisce un elicottero della Gdf, un A-109 anch’esso di uguali dimensioni e caratteristiche chiamato in codice Augusta (fotografia a fianco). Il mese successivo tale velivolo viene ritrovato nella zona di Quartu, in seguito ad una delazione anonima ed una fonte confidenziale, la quale riferisce che la sparizione di detto elicottero è riconducibile ad un’attività di depistaggio creata da ignoti. Il tentativo, pertanto, è dunque quello di spingere le attenzioni di ricerca lontano da Capo Ferrato, famigerato luogo della misteriosa esplosione.
Accertamenti condotti successivamente sincerano che la titolarità dell’elicottero A-109, sparito dal capannone di Oristano, è ascritta alla società Wind Air srl stabilita subito società fantasma così come l’identità del rappresentante legale Costantino Polo. Quest’ultimo figura avere tre date e tre luoghi di nascita diversi, nonché residenze fittizie.
Nessun dubbio viene palesato a questo punto: la società Wind Air srl è di copertura dei servizi segreti.
Ad avvalorare la tesi che la società anzidetta sia in realtà una sigla di copertura dei servizi è il riscontro abitativo accertato in sede camerale (un immobile in uso al Ministero dell’ Interno) nonché un repentino spostamento anagrafico in una via inesistente di Nuoro.
Due mesi più tardi, nel maggio del 1994, la commissione tecnico formale nominata da autorità militari archivia il caso con la motivazione di “incidente” senza entrare nel merito né fornendo elementi che potessero spiegare le cause dell’esplosione.
Un mese dopo, nel giugno del 1994, la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Cagliari richiede all’Aeronautica apposita copia della relazione sull’accaduto siglata dai vertici militari, ma il documento è tenuto a riserbo già dal segreto militare e la cosa appare strana perché viene apposto il sigillo della segretezza militare senza che ancora si sia accertata ogni forma di verità. Il codice criptato che viene dato dall’archivio militare è PCM-ANS 1/R.
Nel luglio del 1994, altro colpo di scena che si ricollega improvvisamente all’esplosione della Volpe 132: sette uomini dell’equipaggio della nave Lucina vengono trovati sgozzati nel porto algerino di Djendjen, e la responsabilità del fatto viene subito attribuita ad integralisti islamici che avrebbero anche sottratto 600 tonnellate di carico. Ma è una tesi debole, molte incongruenze lasciano dubbi e sospetti. Le autorità algerine negano ogni addebito di eventuali ingerenze della mezzaluna panislamista e la questione diventa un caso internazionale. Si rischia uno scontro diplomatico.
Cosa c’entra la nave Lucina situata in mare algerino con la Volpe 132 esplosa in Sardegna? Bene, i testimoni prima citati riconoscono senza paura nella nave Lucina la stessa nave che si trovava a Feraxi, a nord di Capo Ferrato, nel momento in cui l’elicottero della G.d.f. venne abbattuto. Riscontri coerentemente e coraggiosamente lineari arrivano a concretizzare un dubbio sempre più tristemente fondato: il Volpe 132 è stato abbattuto.
Dalla mattanza della nave Lucina, guarda caso, si salvano due persone, di cui uno è un soggetto conosciuto dagli ambienti “stay-behind” : è un uomo appartenente a Gladio, infiltrato in Algeria e si chiama in codice “agente G 65″. Ricercato spesso dalle agenzie d’intelligence deviate negli anni successivi, fu poi trovato morto misteriosamente nell’isola di Capo Verde. Il padre non ebbe mai la certezza che all’interno della bara ci fosse il corpo del figlio.
Si giunge così ai tempi recenti, aprile 2011, quando la Procura di Cagliari chiede per la terza volta l’archiviazione dell’inchiesta vista la prescrizione dei reati militari e di disastro. Il Pubblico Ministero asserisce che in considerazione del fatto che la perizia non è stata effettuata da personale investigativo forense accreditato, appare impossibile ipotizzare eventi delittuosi solo dall’esame dei frammenti del velivolo.
Troppi punti oscuri per una vicenda che sa di irreale e che è stata tenuta chiusa a chiave nel cassetto del tempo, ma che adesso sta per aprirsi e si spera in via definitiva. La storia raccontata sembra una trama tratta da uno spy- thriller di Kink, ma purtroppo è crudele storia reale. Da notare che emergono delle incredibili analogie con il caso di Ustica: il radar di avvistamento che si spegne improvvisamente un minuto dopo l’esplosione al poligono interforce, i radar dei reparti militari competenti per territorio anch’essi in disuso a quell’ora ed una perquisizione immediata nelle stanze dove i sottufficiali alloggiavano al momento dell’esplosione. Per trovare cosa? O per mettere cosa?
Altro particolare preso in esame è stata la posizione della motovedetta Colombini G63 della G.d.F. molto vicina ed a supporto operativo dell’elicottero esploso, come si è appreso dalla disamina delle carte nautiche comprovate dai collegamenti radaristici. Sono apparse poco convincenti le dichiarazioni dei membri dell’equipaggio di tale motovedetta i quali hanno relazionato di non essere stati testimoni dell’esplosione dell’elicottero perché posizionati in un punto marittimo lontano dall’elicottero Volpe 132. Ciò che si è sempre paventato è che la pattuglia composta dagli elicotteristi abbia avuto odore di un traffico di armi internazionale, di cui la nave Lucina era protagonista, e che si sia subito recata sul posto per accertarsi di quanto in segnalazione.
I nastri ascoltati che testimoniano le ultime registrazioni audio dei militari indicano che i due sottufficiali, in seguito al decollo da Elmas alle 18,45, comunicano alla sala operativa che ”si sarebbero spostati verso il sud dell’isola”. Cosa che invece stupisce i radaristi perché alle ore 19,14 – senza nessuna comunicazione radio – l’elicottero comincia a piombare in direzione nord miratamente puntando su Capo Ferrato. Dalle ore 19,15, come si è già scritto, improvviso black out in tutte le postazioni radio militari presenti in zona. Le indagini fornite dagli ambienti investigativi hanno sincerato che i due sottufficiali avrebbero comunicato alla sala operativa una rotta differente da quella effettivamente studiata per timore di essere ascoltati da eventuali canali di counterintelligence (controspionaggio) in ascolto, per poi cercare un sopralluogo a sorpresa con un “volo silenzioso” sulla nave Lucina aiutati dal vento maestrale.
Altra coincidenza inquietante della storia è il fascicolo d’indagine che viene acquisito dagli stessi uomini della Commissione Parlamentare che 18 giorni dopo aprono quello sulla morte di Ilaria Alpi con un medesimo capo d’imputazione: traffico di armi fra l’Europa e l’ Africa ad opera di ignoti.
Connessioni con il caso Ilaria Alpi? I risvolti dell’interpellanza parlamentare si spera possano spiegare le dinamiche di quella notte fornendo luce a questo nuovo cold case italiano. Troppe coincidenze chiudono il cerchio su uno dei misteri più avvilenti ed insabbiati degli ultimi anni. Così come per Ustica, tutti i vertici militari, obbligati dalla segretezza militare imposta, si sono chiusi in un silenzio assordante che è l’unico a squarciare ancora i cieli di Capo Ferrato. La verità è racchiusa dai monitor, dalle carte nautiche, dai brandelli del velivolo. Sistemi investigativi di nuova portata di tipo pictometry potrebbero raccogliere informazioni non visibili mediante sensori o circuiti radaristici necessariamente attivi. In sede di investigazione intelligence di tipo Imint, a cui sono tenuti i componenti di comparti militari aerei, già all’epoca dei fatti si era in grado di stabilire dei satelliti da ricognizione atti ad accertare verità e che non possono trovare dunque giustificazione in un ipotetico blocco elettronico generale. A partire dall’anno 1985, sulla base di congegni introdotti dalla guerra fredda, al fine di concorrerre alla difesa militare del territorio, ogni nazione è dotata di sistemi satellitari ad ampia risoluzione e gittata denominati Ikonos , GeoEye, Quick Bird, che permettono ogni forma di rilevazione accurata. Tali strumentazioni sono stati da sempre approvati, utilizzati anche dal SISMI in attività di tutela del territorio. La verità, dunque, è scritta dalla scienza investigativa, basta farne uso.
I parenti delle vittime, intanto, si è appreso abbiano scritto una lettera al Presidente della Repubblica Napolitano, affinché si possa restituire per intero una verità frammentata in una notte buia. Una notte che per loro non è mai finita.
Fonte Caffenews