A tale scopo ha appena depositato un brevetto dal titolo eloquente, «Policy Violation Checker», dove si parla di un software in grado di spiare email e le tastiere degli utenti al fine di leggere in tempo reale cosa scrivono, non solo nella loro casella di posta elettronica ma in tutti i documenti digitali raggiungibili. Per giunta cancellando, se necessario, parole e frasi considerate a rischio. Altro che grande fratello.
Google presto se ne starà appostato in silenzio sulla spalla dello scrivente pronto a farsi sentire al primo accenno di pericolo, dicendo (intimando) al dipendente controllato cosa potrà o non potrà scrivere. E se l’imprudente di turno non dovesse dare ascolto al gigante di Mountain View allora il programma non esiterà a denunciare l’imperizia all’ufficio legale, mettendo l’azienda in condizione d’intervenire.
L’obbiettivo del software in fase di concepimento è di evitare che il personale, involontariamente o meno, scriva cose in contrasto con la policy dell’azienda o che possano dare vita a una causa di tipo legale. Impedendogli nel contempo di rivelare, anche solo per errore, informazioni considerate sensibili da parte dei vertici, capaci di sottoporre la compagnia a potenziali danni economici e d’immagine.
Per riuscire nell’intento il nuovo grande fratello 2.0 userà astuti algoritmi e un database di frasi e termini etichettati come problematici. Scongiurando in questa maniera il ripetersi di gaffe elettroniche. Gaffe che in passato hanno coinvolto anche la banca d’affari Goldman Sachs, giusto per fare un esempio, e che ad oggi fanno parte a pieno titolo della storia delle email. Ma nel mirino delle aziende non c’è solo la posta elettronica.
Oggi sono tutti i canali di comunicazione online a impensierire i vertici delle compagnie, in particolare quelli che attraversano i social network. Se fino a poco tempo fa Facebook e compagnia bella erano poco più di un sassolino nella scarpa, degli oggetti che inficiavano la produttività dei dipendenti spingendoli a perdere tempo tra un post e un cinguettio, oggi sono visti come delle finestre virtuali aperte su reali precipizi, attraverso le quali rischiano di prendere il volo segreti e indiscrezioni che, nelle mani sbagliate, possono fare a pezzi un’azienda.
Tanto che la Finra, l’ente che vigila sul comparto finanziario Usa, ha chiesto il mese scorso di rimettere mano al Social media privacy act, legge che tutela il diritto alla riservatezza sui social network, adottata oltre Atlantico da un numero crescente di Stati, ma che a molte società, quelle quotate in particolare, sembra proprio non andare giù. Difficile che la richiesta venga presa in considerazione in sede legislativa. Un motivo in più per credere che in futuro saranno in molti a chiedere a Google una soffiata.
Fonte Huffingtonpost.it