IL SOFTWARE SPIA – L’azienda Raytheon spiega di non aver ancora venduto il software – chiamato Riot o Rapid Information Overlay Technology – ad alcun cliente. Ma l’azienda del Massachusetts ha riconosciuto come la tecnologia sia stata condivisa con il governo degli Stati Uniti e come faccia parte di un programma congiunto di ricerca per aiutare a costruire un sistema di sicurezza in grado di analizzare migliaia di miliardi di “entità” nel cyberspazio. Tanto che nel 2010 lo stesso governo americano avrebbe utilizzato una versione “beta”. Il sistema Riot sfrutta calcoli analitici e ricerche condotte per nominativi, in modo da mappare i check in dei soggetti ricercati attraverso il software. Tutto può essere rintracciato: dalle foto scattate, ai post che indicano gli spostamenti, dei quali è possibile costruire grafici specifici sul totale dei movimenti. E provare a capire cosa si farà in futuro. Nel video pubblicato dal quotidiano britannico viene utilizzato come esempio il caso di un certo Nick: si spiega come l’uomo americano sia solito andare in una palestra lunedì e giovedi, alle sei del mattino. E come sia semplice comprendere come poterlo rintracciare, sulla base di queste informazioni.
PRIVACY VIOLATA – Il Guardian spiega come l’utilizzo dei social media per le operazioni di tracking apra nuove preoccupazioni per la privacy on line dei cittadini, non solo americani. “La sofisticata tecnologia dimostra come le stesse reti sociali che hanno contribuito a spingere le rivoluzioni della primavera araba possano essere trasformate in spie e sfruttate come un moderno mezzo di monitoraggio e controllo on line”, si legge sul quotidiano britannico.
VITE SPIATE – Bastano pochi clic per scovare informazioni quasi complete sulla vita di tante persone: dalle loro reti di amici, ai luoghi visitati, fino alle abitudini quotidiane. In particolare, preoccupa la possibilità di geolocalizzare gli scatti pubblicati dagli utenti iscritti sui social network. “Estrarre dai siti web pubblici le informazioni è considerata una pratica legale in molti paesi. Nel febbraio dello scorso anno, per esempio, l’FBI ha chiesto aiuto per sviluppare un’applicazione per il “il monitoraggio di persone sospettate” di crimini, così come in ottica anti-terrorismo. E’ stato Ginger McCall, dell’Electronic Privacy Information Centre di Washington, a spiegare le sue preoccupazioni al Guardian: “Il progetto di Raytheon solleva non poche perplessità, soprattutto riguardo alla quantità di dati collezionati senza alcun tipo di supervisione”. Ha poi aggiunto come tutto venga realizzato all’oscuro degli iscritti ai social-media: “Alcuni pensano che possano bastare le impostazioni sulla privacy per evitare abusi e violazioni. Ma non è così”, ha concluso. Questo perché i dati possono essere invece intercettati dai governi, attraverso software come Riot.
LA DIFESA DI RAYTHEON – Come era lecito aspettarsi, la denuncia del Guardian non è piaciuta alla Raytheon. La società – che nello scorso anno è riuscita a fatturare circa 25 miliardi di dollari – ha voluto precisare come il programma non sia stato ancora venduto a nessun cliente e come sia soltanto una prova. E’ stato il portavoce Jared Adams a spiegare al quotidiano britannico come “Riot sia un grande sistema di analisi di dati” e come al progetto stiano partecipando altre industrie, partner commerciali e laboratori nazionali. Ma si è difeso spiegando come “l’analisi dei dati avvenga senza che alcun tipo di informazione personale venga resa nota”. Se si esclude chi acquista il software: non certo un dato irrilevante, se si pensa all’uso che ne potrebbero fare diversi governi nazionali per controllare la vita dei propri cittadini.
Fonte Giornalettismo