In entrambi i casi, questo il risultato delle analisi tecniche, le tracce porterebbero al prodotto dell’italiana Hacking Team (qui un’intervista di Federico Mello sul Fatto), chiamato Remote Control System. Impiegato dunque non per contrastare criminalità e terrorismo, ma per monitorare dissidenti politici. Il co-fondatore, David Vincenzetti, ha detto a Slate che l’azienda, a partire dal 2004, ha venduto i suoi prodotti a «circa 50 clienti in 30 paesi diversi su tutti e cinque i continenti». Ma non si sa con esattezza quali, come ha scritto Giovanna Loccatelli sull’Espresso. Hacking Team non ha risposto alle richieste di chiarimenti né di Slate, per il caso marocchino, né di Bloomberg, per quello di Mansour. Sono in attesa di sapere se la mia richiesta via mail avrà più fortuna. L’azienda era già stata inclusa tra gli SpyFiles di WikiLeaks, e fa parte di quel complesso mercato degli strumenti di sorveglianza digitale prodotti in Occidente e poi venduti (legalmente) ai regimi autoritari per cui diverse organizzazioni per la tutela della privacy e dei diritti umani – da Privacy International (in particolare con il progetto Big Brother Inc.) all’Electronic Frontier Foundation – chiedono una diversa e migliore regolamentazione. Un punto di partenza sarebbe senza dubbio una maggiore trasparenza sulle transazioni effettuate. Nel frattempo, è bene che gli attivisti prestino la massima attenzione a ciò che cliccano. E magari seguano le raccomandazioni del Citizen Lab per difendersi da minacce di questo tipo.
Fonte IlNichilista