007 suicida: il giallo del telefonino

Ad esempio un filmato, oppure delle foto. Le voci che sono circolate nell’ambiente degli 007 italiani raccontano che Barba avesse, pochi giorni prima, ripreso di nascosto una riunione operativa nella quale venivano impartite istruzioni su modalità poco ortodosse per portare avanti una operazione anti-proliferazione. Sempre secondo voci non confermate ufficialmente, quel video rubato sarebbe stato visto all’interno di Forte Braschi, quartier generale dei servizi segreti militari.

E’ vera questa storia? Quel telefonino è stato bonificato? C’erano davvero cose inconfessabili? Per due anni quella di Barba è stata la morte di uno sconosciuto sotto le ruote di un treno. E’ successo il 7 novembre del 2010 e solo un articolo uscito su Globalist ha squarciato il velo di Maya del silenzio dei servizi rivelando che si chiamava Riccardo Barba, che tutti lo chiamavano Pierino e lo stimavano. Ma soprattutto che il medico legale s’era stranito a trovare così tanto monossido di carbonio nel suo corpo. Troppo per poter essere stato in grado di imbottirsi di gas di scarico e poi trascinarsi sui binari per farsi decapitare dall’Intercity per Venezia alle 11 di un mattino di novembre. Una viaggiatrice, in calce a un sito di news, racconterà che un’ora dopo il corpo era ancora riverso sui binari, senza nemmeno un lenzuolo a coprirlo.

Solo ora sappiamo, dunque, che il morto era un segretario dell’Aise e che la morte venne resa nota all’interno della struttura solo un paio di giorni dopo. Nell’ambiente si era sparsa la voce di un gesto disperato per un amore contrastato. Un’immagine di Pierino difficile da mandare giù per i suoi colleghi del reparto operativo di Via in Selci e in servizio all’VIII divisione dell’Aise. C’era una macchina lì intorno alla stazione di Capannelle? Pare di no.

Mistero nel mistero, l’11 gennaio di quest’anno muore d’infarto il pm Saviotti e l’indagine passa di mano. Ma il mistero più grande è legato all’operazione che, nei giorni prima del “suicidio” vide anche Pierino in azione a Milano, con tutto il suo gruppo. Una delicatissima attività di contro proliferazione, di contrasto a traffici atomici, svolta col supporto di elementi di servizi stranieri alleati, il Mossad, contro i nemici iraniani, a quanto pare, la Qods Force, le barbe finte dei Guardiani della rivoluzione komeinisti (barbe vere). E qui, stando a fonti che preferiscono restare nell’anonimato, lo scenario sembra essere quello già raccontato il 9 agosto da Globalist – e ripreso tre mesi dopo dal quotidiano Libero. Un’azione ambientata alla periferia di Milano, anonimi furgoncini bianchi fuori da un import-export gestito da mediorientali. E’ lì che gente del Mossad e alleati italiani si sarebbero fronteggiati con i nemici iraniani. In ballo materiale nucleare di contrabbando.

Il gruppo multinazionale di barbe finte esegue dunque una serie di appostamenti con i furgoncini. A bordo quattro italiani e tre stranieri, stando a quel che si sa, nell’area fuori da una fabbrica. A ora di pranzo la squadra si allontana lasciando incustodito il furgone civetta. Qualcuno però sostiene che il furto sia accaduto nel corso di un’irruzione nel capannone. Chi ha ragione? Chi mente? Meglio: almeno uno dice la verità su questo dettaglio? Al ritorno, comunque, qualcuno s’era intrufolato rubando la pistola e il tablet di uno degli agenti segreti e che molto probabilmente contiene appunti riservati sull’operazione in corso ad esempio i nomi degli agenti e la lista delle società gestite in giro per il mondo dai pasdaran. Altro che storia d’amore finita male.

Nessuno può sapere cosa passi nella testa di una persona che decide di togliersi la vita ma è davvero difficile immaginare una persona che ha un’arma di servizio, ha dimestichezza nell’usarla, e che per uccidersi scelga invece di mettere la testa sotto al treno invece di spararsi.

Misteri di cui, probabilmente, sentiremo di nuovo parlare.

Fonte Globalist